IL PROCESSO DA REMOTO
di Antonio Tallarida*.
*Avvocato Generale dello Stato Onorario e of Counsel dello Studio Fair Legals. Abstract da un più ampio articolo in corso di pubblicazione sulla Rassegna dell’Avvocatura dello Stato 2020.
1. Una modalità processuale a distanza molto discussa in questo particolare momento emergenziale è costituita dal processo da remoto. A differenza però di quello telematico, il processo da remoto non comporta ordinariamente la dematerializzazione degli atti processuali. Esso infatti consiste nella possibilità per l’imputato in stato di detenzione per alcuni gravi reati o in stato di arresti domiciliari e per la persona ammessa a programmi o misure di protezione, di partecipare all’udienza dibattimentale, ma anche ad altre fasi del processo, attraverso un collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo della custodia, realizzato in modo da assicurare la effettiva e reciproca visibilità e possibilità di ascolto.
Tale particolare modalità è stata introdotta nel processo penale (ma può essere utilizzata per l’escussione dei medesimi come testimoni in sede civile) dall’art. 146 bis, disp. att. c.p.p., aggiunto con l’art. 2 legge 7 gennaio 1998 n. 11. Essa si applica anche alla procedura in camera di consiglio (art. 45 bis, d.a.c.p.p.) e può essere estesa ad altre ipotesi con decreto motivato del giudice, per ragioni di sicurezza o per la complessità del procedimento (art. 146 bis, comma 1-quater, d.a.c.p.p.).
Le ragioni che hanno determinato l’introduzione di questa peculiare modalità processuale affondano nelle esigenze di assicurare lo svolgimento dei processi a carico di una moltitudine di imputati, messo a rischio dalla dilatazione della fase dibattimentale a causa della richiesta di questi di presenziare di persona ai relativi dibattimenti, tenuti spesso in contemporanea in sedi diverse, di ovviare alla difficoltà di effettuare la traduzione degli imputati per consentire la loro presenza fisica in aula, con gravoso impegno delle forze dell’ordine, e di evitare il pericolo di vanificare in queste occasioni l’efficacia delle misure applicate ai sensi dell’art. 41 bis, l. n. 354/1975.
In questo caso, il luogo dove l’imputato si collega è equiparato all’aula di udienza.
È sempre consentito al difensore di essere presente nel luogo dove si trova l’imputato e di consultarsi riservatamente mediante idonei strumenti tecnici. Un ausiliario del giudice, o un ufficiale di polizia giudiziaria, deve essere presente in tale luogo e attestare il regolare svolgimento del collegamento: delle operazioni svolte è redatto verbale cartaceo (art. 146 bis, commi 4, 5 e 6, d.a.c.p.p.).
Di tale innovativa modalità processuale è stata chiamata ad occuparsi la Corte Costituzionale, sostenendosi la sua incompatibilità sia con alcune Convenzioni internazionali ratificate dallo Stato Italiano (quale il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e la Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), sia con i principi di uguaglianza (art. 3), di diritto alla difesa (art. 24) e di non colpevolezza (art. 27), contenuti nella Carta Costituzionale.
La Corte ha però respinto queste eccezioni, con sentenza 22 luglio 1999 n. 342, evidenziando in particolare che la partecipazione da remoto deve essere realizzata “con modalità tali da rendere “effettiva”, e dunque concreta e non soltanto “virtuale”, la possibilità di percepire e comunicare, così saldando intimamente fra loro le potenzialità ed i perfezionamenti sempre offerti dalla tecnica alle esigenze di un “realismo partecipativo” che non può non ritenersi, in sé, del tutto in linea con gli strumenti che l’ordinamento deve necessariamente mettere a disposizione per consentire un adeguato esercizio del diritto di difesa nella fase del dibattimento”, concludendo che i mezzi forniti da tale specifica disciplina appaiono sufficienti in tal senso, laddove “al difensore è sempre consentito, eventualmente anche tramite un sostituto, di essere presente nel luogo dove si trova l’imputato, così come al difensore ed all’imputato sono parimenti posti a disposizione strumenti tecnici “idonei”, che assicurino la reciproca possibilità di consultarsi riservatamente. Il tutto ovviamente preservato dal potere-dovere del giudice del dibattimento di effettuare il necessario controllo circa l’impiego di strumenti e modalità tecniche attraverso i quali raggiungere quel livello di effettività partecipativa che il legislatore ha inteso doverosamente garantire, e di assicurare comunque la piena esplicazione della difesa anche con la presenza dell’imputato nell’aula quando in concreto quella finalità non sia altrimenti raggiungibile per inadeguatezza del mezzo tecnico”.
Di recente, inoltre, la possibilità di partecipare alle udienze in videoconferenza è stata prevista in via ordinaria nei giudizi tributari nell’ambito della giustizia digitale (d.l. n. 119/2018, art. 16).
2. Un imprevisto impulso alla applicazione di questa particolare modalità processuale, al di là della sua ipotesi originaria, è ora venuta dalla grave emergenza determinata dal Coronavirus, che impedendo la frequenza dei Tribunali ha reso ineluttabile il ricorso a collegamenti da remoto per lo svolgimento delle attività giudiziarie ritenute urgenti e indilazionabili, per garantire la continuità della funzione giurisdizionale.
In particolare, prima con il d. l. 2 marzo 2020 n. 9 (limitatamente alle udienze penali) e poi con il d. l. 8 marzo 2020 n. 11, presto abrogato e sostituito dal d. l. 17 marzo 2020 n. 18, e successive proroghe, è stata estesa la celebrazione da remoto:
– a tutte le udienze penali di persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare, e ai procedimenti di convalida dell’arresto e del fermo, con comunicazione e notificazione in via telematica degli avvisi e dei provvedimenti adottati, “applicate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 146 bis del d.lgs 28.7.1989, n. 271” (art. 83, commi 12-14, d.l. n. 18/2020).
– a tutte le udienze civili, tributarie, militari e contabili, non rinviate d’ufficio, con scambio e deposito in telematico di note e con la espressa previsione che “lo svolgimento dell’udienza deve in ogni caso avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti.” (artt. 83 e 85, d.l. n. 18/2020).
– alle udienze in camera di consiglio avanti la magistratura amministrativa (art. 84, comma 6, d.l. n. 18/2020).
Il previsto provvedimento applicativo del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia (DGSIA), è stato definitivamente adottato in data 20 marzo 2020, in sostituzione del precedente del 10 marzo 2020 n. 3413, ed ha disposto che le udienze penali si svolgano, ove possibile, con l’ordinario strumento tecnologico dei video-collegamenti, già predisposti nelle strutture carcerarie e in molte aule di Tribunale, o in alternativa mediante utilizzo di due diversi applicativi messi a disposizione dall’Amministrazione, e cioè Skype for Business o Microsoft Teams, ma solo “laddove non sia necessario garantire la fonia riservata tra la persona detenuta, internata o in stato di custodia cautelare ed il suo difensore” (art. 3). Per le udienze civili è previsto l’utilizzo dei due suddetti applicativi (art. 2): al riguardo il CSM, con delibera n. 186 del 26.3.2020, ha raccomandato la stipula di appositi protocolli con i locali Consigli dell’Ordine degli Avvocati per regolare l’applicazione di tale normativa in maniera condivisa (v. Protocollo tra Presidente del Tribunale di Roma e COA, in Newsletter n. 17/2020 dell’Ordine degli Avvocati di Roma).
La normativa di emergenza non richiama espressamente tra le disposizioni applicabili anche quella che prevede la presenza necessaria di un ausiliare del giudice e di un ufficiale di P.G. (art. 146 bis, comma 6, d.a.c.p.p.). Peraltro, secondo il Consiglio Nazionale Forense “si tratta di una prescrizione che deve comunque essere rispettata atteso che, a prescindere dal diverso rango dei provvedimenti, appare impensabile che il detenuto possa da solo partecipare da remoto senza la presenza di qualcuno presente nel corso della udienza, anche per risolvere qualsiasi problema che si dovesse presentare. Appare significativo in questo senso valutare che i provvedimenti già adottati in diversi uffici giudiziari subito dopo l’entrata in vigore del decreto hanno tutti previsto la presenza dell’ufficiale di P.G.” (v. Protocollo udienze penali).
Il Presidente della Corte dei Conti, con proprio decreto 1° aprile 2020 n. 138, pubblicato nella G. U. n. 89 del 3 aprile 2020, ha adottato le “regole tecniche ed operative in materia di svolgimento delle udienze in videoconferenza e firma digitale dei provvedimenti del giudice nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti”.
Il provvedimento fissa le modalità tecniche per lo svolgimento delle udienze, delle adunanze e delle camere di consiglio da remoto, assicurando a ciascun partecipante la possibilità di collegarsi direttamente dalla propria postazione di lavoro, anche in mobilità, con l’utilizzo di strumenti multimediali audio e video. Il verbale è redatto come documento informatico e sottoscritto con firma digitale (art. 3).
Il decreto prevede inoltre che i provvedimenti del giudice (sentenze, ordinanze, decreti) possono essere redatti come documento informatico sottoscritto con firma digitale, anche in forma collegiale: la Segreteria provvede, al momento del deposito, all’inserimento degli atti nel fascicolo informatico del Sistema Informativo Giuridico. I provvedimenti del giudice e i verbali di udienza sottoscritti con firma digitale sono inviati al sistema di conservazione documentale digitale (art. 4).
È infine prevista la sospensione, per la durata del periodo emergenziale, dell’obbligo di inserimento nei fascicoli processuali di una copia cartacea degli atti (art. 5).
3. Il processo da remoto intende pertanto costituire una risposta all’emergenza pandemica e nel contempo ha fornito l’occasione per estendere a tutte le parti del processo penale le notificazioni e comunicazioni in via telematica e per promuovere negli altri procedimenti il sistema del deposito e scambio degli atti in via telematica, ove ancora non obbligatorio e la sottoscrizione con firma digitale. Esso è destinato a integrarsi sempre più con il processo telematico, cui potrebbe restituire un po’ di umanità, quand’anche virtuale.
Tuttavia la espansione del processo de remoto non è stata accolta favorevolmente dal Foro, ritenendola lesiva del diritto di difesa, dei principi di oralità e immediatezza propri del processo penale e del diritto alla riservatezza. L’Unione Camere Penali Italiane si è rivolta al Garante della Privacy che ne ha fatto proprie le preoccupazioni, rappresentando al Ministro della giustizia che “i richiedenti si interrogano sulla tipologia di dati eventualmente memorizzati da Microsoft Corporation per finalità proprie, del servizio o commerciali; sui soggetti legittimati all’accesso ai metadati delle sessioni e, in particolare, sull’eventualità che Microsoft Corporation o un amministratore di sistema possa desumere, dai metadati nella sua disponibilità, alcuni dati “giudiziari” particolarmente delicati quali, ad esempio, la condizione di soggetto sottoposto alle indagini o di imputato, magari in vinculis.” (lettera del Presidente Soro 16.4.2020).
Inoltre è da considerare che se tutti i processi fossero trattati così, i tempi si allungherebbero, come già sta accadendo (nelle attese dei problemi di connessione il rispetto degli orari di chiamata è impossibile). La dematerializzazione degli atti del processo penale (fascicolo telematico, accesso da remoto, deposito telematico) sarebbe una facilitazione di grande utilità per tutte le parti, anche in tempi ordinari, ma, al contrario, l’istituzionalizzazione dell’udienza da remoto rischierebbe di sminuire il contatto diretto tra imputato e difensore e tra difensore e giudice. L’esperienza giudiziaria ha anche una propria dimensione fisica e la sua dematerializzazione potrebbe avere un effetto deprimente sulla persona, che vedrebbe ridotto il contraddittorio sui propri diritti ad una specie di videogame.
In realtà, nel contesto emergenziale, il diritto alla difesa appare compresso da un po’ tutte le disposizioni adottate, a partire dalla soppressione della fase orale nei procedimenti civili, amministrativi e pensionistici, dalla contrazione dei termini processuali, dal distanziamento delle parti in luoghi lontani fittiziamente equiparati all’aula di udienza, dalla sospensione per il compimento degli atti processuali fino agli stessi rinvii d’ufficio, che finiscono con il minare il principio del giusto processo, allungando anche i tempi della sua definizione e dell’eventuale azione risarcitoria. E con in più il rischio che il provvisorio e necessitato si trasformi in permanente.
Sul punto, pare perciò opportuno richiamare quanto ammonisce il Movimento Forense, in una sua nota del 19.4.2020: “questa spiacevole compressione del diritto di difesa, tuttavia, deve cessare al cessare dell’emergenza”, venendo in tale momento meno ogni ragionevole giustificazione al suo mantenimento.
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