intervista a cura di Azzurra Baggieri
Per il sesto appuntamento con il nostro approfondimento sulla gestione dei beni culturali ai tempi del COVID – 19 abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Nadia Francaviglia, restauratrice specializzata nel settore della Conservazione Preventiva dei beni culturali.
Laureata in Conservazione e restauro dei Beni Culturali presso l’Università di Palermo, ha poi perfezionato i suoi studi presso l’Università della Sorbona di Parigi conseguendo la laurea specialistica in Conservazione preventiva del patrimonio.
Lavora attualmente sia in Italia che in Francia, come consulente nel settore della conservazione preventiva, presso importanti Istituzioni pubbliche quali a titolo esemplificativo la Presidenza della Repubblica (Palazzo del Quirinale) e presso i Musei del Louvre di Parigi e Lens.
Nell’intervista che segue abbiamo raccolto importanti spunti di riflessione sul tema della prevenzione e della gestione dei beni culturali in Italia e in altri Paesi del mondo ai tempi dell’emergenza sanitaria e non solo.
Buona lettura!
1) In cosa consiste la conservazione preventiva? Di cosa si occupa la figura professionale specializzata in tale settore?
Secondo la definizione discussa e approvata da ICOM Italia e diffusa recentemente (link) la conservazione preventiva si definisce come l’insieme delle misure e delle azioni dirette a evitare o ridurre al minimo futuri deterioramenti o perdite. Queste misure e azioni interessano il contesto o l’ambiente dell’oggetto – più di frequente un insieme di oggetti – quali che siano la loro età e il loro stato. Trattandosi di misure e azioni indirette, non interferiscono con i materiali e la struttura degli oggetti e non ne modificano l’aspetto.
Il consulente in conservazione preventiva è dunque chiamato a proporre soluzioni molto variegate a seconda del problema specifico posto dall’istituzione culturale che ne richiede l’expertise. Per tale ragione il “preventista” lavora spesso in équipe con altri esperti del settore al fine di delineare piani di conservazione efficienti e funzionali (oltre ai i relativi budjet di spesa) in grado di assicurare lunga vita ai beni culturali anche nelle situazioni più complesse.
È importante sottolineare che fare conservazione preventiva non significa esclusivamente occuparsi del monitoraggio delle condizioni climatiche (l’umidità viene spesso avvertita come una delle principali cause di deterioramento dei beni culturali) o dello studio di piani emergenziali, ma anche ad esempio ottimizzare gli spazi di un deposito museale oppure pensare a soluzioni logistiche temporanee adeguate quando risulti necessario provvedere al restauro delle strutture architettoniche ospitanti le collezioni (siano esse dimore storiche, musei o abitazioni private).
Dunque, per concludere, se il restauro rappresenta il mezzo per rimediare ai danneggiamenti già subiti dalla singola opera d’arte a seguito di uno o più eventi lesivi, la diversa branca della conservazione preventiva si occupa di prevenire le cause del deterioramento delle collezioni (non si guarda più, infatti, al singolo pezzo, ma ad insiemi complessi di opere), offrendo soluzioni volte a impedire che il decorso del tempo e altri fattori più o meno prevedibili abbiano la meglio sul patrimonio culturale.
2) Quale è lo stato della conservazione preventiva in Italia? Le norme volte a disciplinare questo settore così importante per il patrimonio culturale (pensiamo agli artt. 29 e 30 del Codice dei Beni Culturali o al DM 10 maggio 2001 o ancora alle raccomandazioni ICOM (link) e ICCROM (link) riescono a essere abbastanza incisive nel fronteggiare emergenze come quella determinata negli ultimi mesi dal COVID – 19?
Sebbene in Italia si sia registrato, nel corso degli anni ’70, un grande slancio nei confronti della conservazione preventiva grazie a Giovanni Urbani (ndr storico dell’arte, restauratore oltre che direttore dell’Istituto Centrale del Restauro dal 1973 al 1983) che aveva condensato le proprie idee in merito alla conservazione programmata del patrimonio artistico e paesaggistico nel suo Piano Pilota per l’Umbria nel 1976 (link) (ndr tale piano, tardivamente riconosciuto come fondamentale per la pianificazione su scala nazionale della tutela e della manutenzione dei Beni, è oggi confluito in parte nella Carta del rischio (link) strumento messo a punto dall’ICR dal 1997 ma ancora molto poco utilizzato), tale iniziale fervore ha subito più battute d’arresto, ponendo la conservazione preventiva su un piano decisamente secondario nel panorama nazionale.
Ecco, quindi, che proprio in Italia, patria delle scuole di restauro più importanti al mondo (quali l’ISCR di Roma (link) e l’OPD di Firenze (link), non esistono veri e propri percorsi formativi che abbiano la conservazione preventiva come soggetto principale. Su questo tema, spesso trattato in convegni specialistici dedicati più al restauro che alla prevenzione, ci sono spesso dibattiti, pubblicazioni, a volte anche molto interessanti, ma si tratta pur sempre di eventi puntuali, che non sfociano in un discorso più ampio a livello ministeriale.
Altri sono stati, invece, i Paesi europei che hanno investito in questo settore quali ad esempio la Francia e l’Inghilterra. Basti pensare che in Italia non è previsto alcun corso di laurea in tale ambito, quando, invece, alla Sorbona di Parigi, dove io (insieme ad altri colleghi italiani!) ho potuto laurearmi, è previsto un corso specifico proprio volto alla formazione di figure professionali specializzate in tale materia. Inoltre, nei suddetti Stati sono sorti Istituti e Associazioni che hanno fatto della divulgazione della conservazione preventiva uno dei loro obiettivi principali, cosa che purtroppo non è ancora avvenuta in Italia.
Senza contare che l’adozione di piani di prevenzione nella conservazione dei beni culturali comporterebbe un’ingente riduzione dei costi che lo Stato si trova puntualmente ad affrontare per finanziare (ben più costosi) restauri e interventi d’urgenza. È stato infatti dimostrato più volte che a fronte di un investimento iniziale importante in azioni preventive, le spese necessarie per il restauro di singole opere danneggiate risultino sempre e comunque più ingenti.
Occorre ricordare che oltre alle generali indicazioni offerte dal D. Lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali) agli artt. 29 (inerente la conservazione, prevenzione e manutenzione dei beni culturali) e 30 (relativo agli obblighi conservativi per tutti gli enti della Repubblica oltre ai Musei e ai singoli privati), in Italia, vige il DM del 10 maggio 2001 (link) (emanato sulla scorta del D. Lgs. n. 112/98, art. 150, co. 6) che, nell’Ambito VI, offre le indicazioni operative per procedere a restauro, movimentazione delle opere ed altre attività necessarie alla conservazione dei beni culturali. Sul piano legislativo, sono questi i “pilastri” della prevenzione in Italia.
Inoltre, a livello internazionale vigono le raccomandazioni dell’ICOM (International Council of Museum, che ha una sua sezione in tutti i Paesi del mondo, compresa l’Italia) e dell’ICCROM (International Centre for the Study of the Preservation and Restoration of Cultural Property, organismo internazionale dell’UNESCO, anch’esso con sede in Italia).
Ebbene, questi organi sovranazionali (che cooperano in stretta sinergia con l’UNESCO) cui l’Italia ha aderito rispettivamente nel 1947, con la fondazione di ICOM Italia, e nel 1960, con la sottoscrizione di un accordo con il quale veniva stabilita la sede centrale dell’organizzazione intergovernativa in Roma, hanno stilato delle linee guida, delle raccomandazioni da seguire per assicurare il rispetto di fondamentali principi inerenti la conservazione preventiva. Tuttavia, si tratta pur sempre di mere raccomandazioni e non di obblighi per gli Stati membri. A questi ultimi è quindi lasciata la facoltà di seguire o meno le indicazioni offerte.
Ciò che in Italia è mancato è quel “cambiamento di mentalità”(De Guichen, G. 1995. La conservation préventive: un changement profond de mentalité. Study Series. Committee for Conservation (ICOM-CC) 1: 4-5; http://tinyurl.com/kx2j95h) dalla cultura del restauro, del singolo oggetto, della misura d’urgenza a quella della prevenzione, delle collezioni, del lungo termine di cui parla Gaël de Guichen, advisor presso ICCROM, nostro grande maestro e professionista da sempre impegnato a 360° nelle più importanti campagne di conservazione preventiva in tutto il mondo.
Uno slancio propulsore dovrebbe provenire dalle Istituzioni preposte, primo tra tutti il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
3) Come stanno reagendo i Musei italiani (rispetto a ciò che accade in altri Stati nel mondo) all’emergenza sanitaria?
Ho cercato di approfondire questi temi sul mio sito con due diversi contributi (link)
(link).
I Musei statali italiani hanno reagito a tale fase emergenziale perseguendo, sul web e sui social network, una serrata campagna di comunicazione. A fronte della chiusura forzata dei musei al pubblico, questi hanno cioè optato per la promozione e valorizzazione dei beni culturali con inserimento di gallery di immagini (talvolta corredate da schede informative) e di video esplicativi, facilmente fruibili dai visitatori virtuali.
Per quanto riguarda gli aspetti più “specialistici” della gestione delle collezioni (e quindi meno interessanti per un grande pubblico, ma importanti per chi lavora nel settore), non è facile trovare (nemmeno nei siti più istituzionali) informazioni relative alle misure adottate e/o consigliate al fine di proteggere le collezioni in questa fase così delicata non solo per la sanità pubblica, ma anche per la tutela del patrimonio culturale. Unica eccezione (ne parleremo più in là) è quella delle raccomandazioni ICOM (link).
Diversamente, in altri Stati sono state stilate importanti linee guida per assicurare la conservazione dei beni anche in questo specifico periodo.
Da ciò non possiamo che trarre conferma del fatto che in Italia non è ancora maturata, soprattutto presso gli operatori del settore, quell’attenzione nei confronti della cultura della prevenzione sviluppata invece altrove nel mondo.
Tuttavia, occorre notare che, proprio nel periodo di lock down che stiamo vivendo, si potrebbero trovare le risorse per rimettere le azioni preventive al centro della vita museale e istituzionale, promuovendo un cambio di rotta con effetti duraturi sulla conservazione dei beni.
Ad esempio, si potrebbe sfruttare questo periodo di pausa forzata per predisporre quei piani di emergenza, quelle attività tese alla pianificazione sul lungo termine della conservazione dei beni culturali che forse non si è avuto modo di portare a compimento fino ad oggi.
Un’altra operazione che potrebbe essere svolta durante questo periodo è quella della catalogazione informatica dei beni museali (laddove non ancora fatto). Tale operazione richiede personale specializzato ma nella maggior parte dei casi non prevede grandi affollamenti nei luoghi di lavoro (spesso si parla di un binomio costituito dalla persona che inserisce i dati nel computer e il curatore/storico/conservatore che visiona e ispeziona l’opera da catalogare, al massimo accompagnati da un addetto alla manutenzione per la manipolazione degli oggetti più pesanti).
La catalogazione informatizzata (dati precisi e aggiornati sulla quantità di beni catalogati si trovano sul sito dell’ICCD delle opere di una determinata collezione rappresenta, infatti, uno dei primi passi verso la conservazione preventiva delle opere di una determinata collezione rappresenta, infatti, uno dei primi passi verso la conservazione preventiva. Il monitoraggio e l’osservazione dall’interno delle opere presenti in un Museo, così come l’aggiornamento per ogni opera d’arte della storia conservativa della medesima rappresentano un punto di partenza imprescindibile. Considerato che gran parte degli inventari nei piccoli e medi musei italiani sono attualmente in formato cartaceo, lanciare campagne di informatizzazione renderebbe il lavoro di storici dell’arte, così come quello dei restauratori, dei conservatori e dei consulenti in conservazione preventiva di gran lunga più facilitato. Senza contare che attorno a tale pratica si potrebbero addirittura creare posti di lavoro.
Voglio comunque ricordare che l’ISCR ha recentemente pubblicato delle raccomandazioni inerenti alle operazioni di sanificazione degli ambienti museali e dei siti culturali in genere e che ICOM Italia ha divulgato una serie di raccomandazioni da seguire per mantenere alta l’attenzione sul nostro patrimonio culturale anche ai tempi del COVID_19, garantendone la conservazione a lungo termine. Seguire queste linee guida – che come già detto rappresentano dei suggerimenti, non comportando alcun obbligo “legale” di adozione – inerenti la vigilanza e il controllo periodico delle collezioni dei musei, dei siti archeologici, verificando i sistemi di difesa anticrimine, ricominciando la manutenzione della aree verdi di pertinenza museale e dei giardini storici significherebbe anche far ripartire le attività dei professionisti del settore culturale in Italia, particolarmente colpiti in questo momento di chiusura prolungata. Si darebbe avvio a un circuito virtuoso dal quale fare ripartire in sicurezza la fruizione del patrimonio culturale italiano.
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