a cura di Azzurra Baggieri
Per la settima puntata con il nostro approfondimento sulla gestione dei beni culturali ai tempi del COVID – 19 abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Fulvio Cervini, Professore associato in Storia dell’arte medievale e Tutela dei Beni Culturali presso l’Università di Firenze, nel Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo.
Nell’intervista che segue abbiamo raccolto importanti spunti di riflessione circa gli inconvenienti della didattica on-line, le misure adottate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per fare fronte al periodo di chiusura forzata dei musei e sull’impegno che il MiBACT dovrebbe assumere nella tutela del territorio.
1) La necessaria chiusura delle Università ha imposto agli studenti di seguire le lezioni on-line. Allo stesso tempo i Professori hanno dovuto assicurare la continuazione della didattica a distanza. In base alla sua esperienza fino a questo momento maturata quali sono i vantaggi (se vi sono) della didattica a distanza? Si riesce a garantire un’adeguata formazione?
Con riferimento alla didattica a distanza ho potuto verificare quanto essa sia dispendiosa in termini di tempo e faticosa, rappresentando una modalità di insegnamento nuova con la quale, noi Professori, siamo chiamati a misurarci.
Occorre considerare che ci sono diversi problemi tecnici che devono essere di volta in volta affrontati per rendere funzionali le lezioni on-line. Non tutti, infatti, hanno connessioni veloci (anzi alcune volte i ragazzi non possedendo in casa un computer, si collegano con il cellulare) e in generale sono emersi, nella loro drammaticità, i limiti di un Paese poco digitale! Basti pensare che, in determinate fasce orarie, la rete è disturbata tale è il sovraccarico degli utenti collegati.
Oltre ai problemi tecnologici che tutti sperimentiamo, vi è anche una difficoltà di tipo metodologico legata al tipo di materia che si insegna.
Se la didattica on-line risulta una modalità di insegnamento discretamente efficace per certe materie scientifiche, adottata già da anni per determinati ambiti, lo stesso non può dirsi per una materia umanistica come è la storia dell’arte, che vive di discussioni in aula e di confronto con gli studenti!
Tutto ciò non ha comunque impedito che le lezioni si svolgessero. Con l’ausilio di power point e con il caricamento sulle piattaforme delle video-conferenze registrate è stato possibile continuare ad assicurare la formazione degli studenti.
Anzi, il permanere negli spazi della rete delle dirette, ha permesso agli universitari impossibilitati ad essere presenti durante le live (magari per motivi lavorativi) di visionare le stesse successivamente.
Quindi, fermo restando che la lezione in aula è un’altra cosa, soprattutto in campo umanistico, la lezione da remoto aiuta il superamento di certe barriere assicurando una frequenza dei corsi più estesa anche se a distanza.
Rimane il fatto che la lezione in aula è insostituibile: si pensi alle lauree magistrali ove i corsi istituzionali dei trienni lasciano il posto a corsi più specifici di anno in anno diversi perché strutturati su temi differenti. Le lezioni legate all’argomento specifico di quell’anno in corso non possono certo essere reiterate negli anni successivi.
Inoltre a differenza dei miei colleghi che insegnano materie scientifiche (e che la reputano efficiente e democratica come metodologia di insegnamento), ciò che temo è che se la didattica a distanza prendesse il soppravvento rispetto alla didattica frontale, si andrebbe ad accentuare la divaricazione pericolosa tra studenti tecnologicamente attrezzati e quelli meno; quella tra studenti che possono permettersi di frequentare dal vivo e studenti meno fortunati, non in grado di sostenere i costi della vita da fuori sede, costretti alla frequenza a distanza.
E cosa ne sarebbe poi dei laboratori? E dei seminari ? E in generale dei corsi delle magistrali? Spesso tali corsi non vengono sostenuti e portati avanti dai Professori in maniera tradizionale, ma ad esempio, come nel caso del corso da me tenuto, recandosi nei luoghi ove le opere sono conservate per procedere alla loro schedatura. Corsi del genere non potrebbero mai essere convertiti al digitale!
Nonostante gli svantaggi di cui ho parlato, la didattica on-line rimane una modalità didattica interessante che obbliga noi Professori ad alzare il livello dei contenuti che veicoliamo.
Il riscontro degli studenti anche sarà importante! Per adesso raccolgo consensi: riferiscono di riuscire a seguire, la videoconferenza piace e si dicono soddisfatti perché possono comunque porre domande.
2) Con le biblioteche chiuse al pubblico come si è riusciti a offrire agli studenti la bibliografia di cui necessitavano per affrontare il corso on-line?
Ai fini del superamento degli esami abbiamo dovuto affrontare il problema della bibliografia considerato che le biblioteche non sono state accessibili per lungo tempo.
Le Università sono state tutte chiuse a semestre appena iniziato, gli studenti non sono quindi riusciti a procurarsi i libri per tempo ed il problema è stato avvertito soprattutto per le bibliografie più corpose. I testi più difficili da reperire o più costosi sono stati sostituiti con materiali open source, pdf parziali, articoli o scansioni. Tutto questo ha portato a rivedere la consistenza della bibliografia che è stata rimodulata.
Ed è emerso un grosso limite dell’editoria italiana perché ci sono pochi e-book, pochi pdf disponili e in generale poca propensione a immettere nella rete materiali liberamente fruibili.
Pertanto si può dire che la didattica a distanza compromette anche la costruzione corale del sapere bibliografico.
Auspico che questo problema di disponibilità delle risorse digitali (da sempre esistente in Italia, anche al di là dell’emergenza sanitaria, ma che con questa chiusura forzata si è andato accentuando) possa essere affrontato anche a emergenza sanitaria cessata.
3) Cosa pensa delle misure messe in campo dal MiBACT per fronteggiare la chiusura forzata dei Musei e dei luoghi di cultura in genere?
L’Italia con i Musei chiusi è stata una notizia clamorosa che ha fatto il giro del mondo!
In effetti i Musei rappresentano delle Istituzioni importanti nel panorama culturale italiano, sono molto attivi sui social e gli ultimi governi hanno dimostrato di voler puntare soprattutto su questi.
Eppure non solo questi (per quanto importanti) non possono essere di per sè soli rappresentativi dell’incredibile e variegato patrimonio culturale presente in Italia, ma ritengo che nel periodo di lockdown si sarebbe potuto fare molto di più per valorizzarli!
In questo periodo il MiBACT ha lanciato la campagna comunicativa con l’hashtag #iorestoacasa e i Musei di conseguenza hanno provveduto a caricare materiale audio visivo nell’intento (spesso mal riuscito) di offrire una visita virtuale degli spazi museali.
Tuttavia, mi chiedo se non fosse stato meglio impegnare il personale dei Musei in attività maggiormente proficue per la collettività.
Basti pensare che rispetto ai Musei degli altri Paesi, i Musei italiani scontano un grande ritardo in termini di digitalizzazione del patrimonio che custodiscono.
Ci sono dei siti web di musei stranieri (tra tutti il MET di New York ) meravigliosi e sensazionali da questo punto di vista perché le collezioni, corredate da schede tecniche molto approfondite e da fotografie di grande qualità, sono interamente on line.
E’ evidente che tali Istituzioni culturali impiegano decine e decine di persone nella produzione di materiale fruibile nella rete… Ma perché non si può fare una cosa del genere anche per gli Uffizi, uno dei Musei più importanti del mondo?
Sempre sul sito del MET si possono scaricare gratis i pdf di centinaia di cataloghi e pubblicazioni, alcune di queste anche molto rare e dal costo elevato.
Ritengo, quindi, che si sarebbe potuto investire su questo aspetto nel periodo di chiusura dei Musei e ne avremmo giovato moltissimo in termini di arricchimento culturale.
D’altronde il MiBACT si sarebbe dovuto rendere promotore di una strutturata campagna di digitalizzazione del patrimonio coordinata e convincente già da tempo.
Mi auguro, quindi, che in futuro si possano prendere decisioni più mirate in tal senso e assecondare meno le logiche dei social network (la smania dell’esserci rischia di compromettere la qualità dei contenuti veicolati che finiscono con il risultare del tutto inutili e fini a se stessi) che portano a una visione distorta di quello che realmente rappresenta il patrimonio culturale italiano.
4. Può il lavoro agile rappresentare una valida modalità sostitutiva per lo svolgimento dell’attività di tutela territoriale? Le misure anti COVID hanno determinato un peggioramento per la didattica legata alla tutela del territorio?
Credo che la chiusura forzata e quindi riduzione delle attività ministeriali avrà conseguenze negative sul fronte della tutela territoriale.
Non si può fare assolutamente tutela del territorio in smart working. Come si fa a svolgere correttamente la tutela di un territorio, di una provincia, lavorando da casa?
I restauri si sono dovuti bloccare perché a meno che il restauratore avesse l’opera in casa o il laboratorio nei pressi della casa per recarvisi in sicurezza e lavorarci (pensiamo ai piccoli restauratori privi di dipendenti), non ci si è potuti spostare, provvedere alle consegne, prendere le opere su cui erano necessari interventi di restauro, senza contare che i funzionari preposti nemmeno hanno potuto verificare l’andamento dei lavori.
Quindi, se già era diventato difficile, prima ancora della quarantena, occuparsi di tutela territoriale (considerato lo smantellamento delle soprintendenze territoriali e la carenza di adeguati strumenti), con l’emergenza sanitaria la situazione è andata peggiorando.
Questo è il tipico lavoro che non si può fare in smart working!
Se il Museo per quanto chiuso al pubblico può, infatti, continuare ad operare (il personale è stato ad esempio impegnato nella progettazione di iniziative, nella catalogazione di collezioni), invece il territorio, con le misure anti COVID, è rimasto inevitabilmente inaccessibile anche al personale preposto alla sua tutela.
Ammesso poi che al MiBACT interessi ancora qualcosa della tutela del territorio perché nel piano di devoluzione delle competenze alle Regioni (e abbiamo visto quanto non sia il caso di devolvere così tanto alle Regioni) è stato dimostrato tutto il contrario!
I più recenti governi hanno dimostrato di non avere a cuore la tutela dei beni culturali sui territori, hanno piuttosto dimostrato interesse per i Musei e in una prospettiva di valorizzazione dei beni culturali a servizio dell’industria turistica.
Tuttavia, bisognerebbe ripensare ai guadagni che una maggiore attenzione al territorio comporterebbe: non è, infatti, immediatamente monetizzabile il beneficio della tutela del territorio (come accade invece con i Musei per i quali a fine giornata, a fine mese, a fine anno possono essere contati i biglietti venduti, i servizi erogati e le pubblicazioni vendute), ma nel lungo periodo il riscontro positivo non tarderebbe ad arrivare!
Senza contare che l’indotto intero ne guadagnerebbe con grande beneficio per i piccoli borghi diffusi di cui l’Italia pullula.
Ogni realtà in Italia ha delle ricchezze monumentali, ambientalistiche molto rilevanti e ogni luogo ha il suo potenziale. Ritengo si dovrebbe investire maggiormente su queste, anziché puntare sui soliti Musei importanti che, data la loro notorietà, non avrebbero bisogno di ulteriori riflettori puntati.
Il rischio altrimenti è quello di accentuare quel divario già esistente (ma che non aveva ancora mai raggiunto il livello attuale) tra Musei di fascia alta e Musei di fascia bassa, tra quelli che potremmo definire “super potenze” come gli Uffizi, Pinacoteca di Brera, Capodimonte, Palazzo Pitti (vere e proprie flotte da battaglie) e i Musei statali non autonomi (come il Museo Nazionale di San Matteo di Pisa) con personale ridotto e ingressi contingentati che rimangono in sordina.
La tutela territoriale (almeno come la intendo io, ma con me tanti altri) ha molto a che fare con la didattica della storia dell’arte per i corsi magistrali, per le scuole di specializzazione e il dottorato: in buona sostanza focalizziamo la nostra attenzione sul rapporto dell’arte con il suo contesto territoriale.
La didattica e la tutela del territorio, intesi in tal senso, rappresentano delle attività molto collegate e dunque entrambe risultano penalizzate dai limiti imposti dall’emergenza sanitaria.
Infine, una riflessione: non vorrei che a lungo andare questa crescente confidenza con la virtualità – che è soprattutto virtualità dei Musei e non del territorio – finisse per appiattire il senso comune della storia dell’arte che forse già adesso in molti pensano racchiusa solo nell’idea del Museo, quando, invece, è qualcosa di molto più ampio e articolato che ha a che fare con la storia degli uomini.
Picture by Maegan White