a cura di Azzurra Baggieri
Tra i settori più duramente colpiti dalla crisi pandemica che viviamo, vi è anche quello della musica dal vivo che ha subito una forte, se non drastica, battuta d’arresto, con calo vertiginoso di esibizioni live e conseguente scarsa possibilità di lavoro per i musicisti.
Abbiamo avuto la possibilità di intervistare sul tema Luca Nostro, chitarrista e compositore di origini romane, attivo nel jazz contemporaneo e nella musica classica contemporanea.
Laureato in Giurisprudenza ed Economia presso l’Università LUISS di Roma, si è diplomato in jazz, presso l’Università della Musica di Roma e con menzione speciale al Conservatorio di Santa Cecilia.
Ha registrato tutti i suoi album come leader a New York, dove ha ottenuto un US Artist Visa, ricevendo recensioni da riviste importanti (Jazzwise, DOWNBEAT) ed eseguito la sua musica in molti festival e clubs negli USA ed in Europa. È la prima chitarra del Parco della Musica Contemporanea Ensemble, con cui ha partecipato a prime mondiali ed europee di opere di grandi compositori come Steve Reich e Frank Zappa, esibendosi come solista alla Biennale Musica, ad Ars Musica, al Teatro dell’Opera di Roma, al Teatro Petruzzelli, al Teatro Massimo di Palermo e in vari istituti di Cultura Italiani nel mondo.
Si è esibito come solista con Bryce Dessner al Roma Europa Festival 2020 ed è stato dedicatario di una composizione di Mark Grey per 100 chitarre elettriche eseguita in prima assoluta al Capodanno di Roma 2020. È stato curatore della settimana della chitarra elettrica a Ravenna Festival 2018.
Compone musica per il teatro (musiche di scena del Re Lear di Shakespeare con Ennio Fantastichini, per la regia di Giorgio Barberio Corsetti e prodotto dal Teatro di Roma e dal Teatro Biondo di Palermo), per docufilm (Silencio di Attilio Bolzoni e Massimo Cappello) e film (una Vita in Cambio, regia di Roberto Mariotti, con Elena Arvigo, Toni Garrani, Stefano Fresi).
Di seguito proponiamo l’intervista che il musicista ha rilasciato allo studio legale con importanti riflessioni circa le problematiche che oggi affiggono il mondo della musica, le cause e le possibili soluzioni.
1) Quali sono state secondo lei le problematiche che maggiormente il settore della musica dal vivo ha patito e continua a patire a causa del Covid?
Alcuni dei problemi più significativi del settore non sono sopraggiunti improvvisamente a causa dell’emergenza sanitaria, ma preesistevano. Anzi, dal mio punto di vista, non si può dire che ci sia stato con il Covid un peggioramento perché la situazione era già drammatica…
La pandemia ha solo reso più evidenti le difficoltà che già da tempo frustravano il settore ed in particolare i musicisti.
Uno dei principali problemi che, in Italia, questa categoria professionale si trova ad affrontare riguarda il sistema previdenziale.
Il Fondo Pensione Lavoratori dello Spettacolo (ex Enpals), istituito presso l’INPS prevede, infatti che a fronte della prestazione artistica offerta, debba essere versata all’ente a titolo di contributi previdenziali la somma pari al 33% sul lordo del compenso di cui il 9,19% a carico del lavoratore ed il 23,81% a carico del committente. Tuttavia, il Fondo non tiene conto delle peculiari necessità degli artisti (tra tutte si pensi alla fornitura e manutenzione degli strumenti musicali), così come della poliedricità che spesso li contraddistingue (molti musicisti affiancano all’attività concertistica quella delle lezioni private) non offrendo adeguate risposte fiscali ai lavoratori del settore i quali si ritrovano spesso costretti a tenere una doppia contabilità o a far confluire gli introiti nella c.d. Gestione Separata.
La situazione appare ancor più grave se si considerano da un lato i budget (per lo più scarsi) messi a disposizione per l’organizzazione di eventi musicali e dall’altro il regime IVA che non tiene affatto conto delle singolari esigenze che la professione del musicista implica (tra tutte basti considerare il costo per le trasferte molto spesso a carico del singolo musicista quando questo è chiamato per suonare nei teatri d’opera o per i conservatori).
Per non parlare del fatto che all’interno dello stesso mercato operano sia musicisti professionisti, che musicisti amatoriali. Ciò implica un’inevitabile svilimento delle abilità professionali dei primi che spesso si ritrovano ad accettare compensi ridicoli per rimanere competitivi sul mercato.
A gravare su un mercato, il cui funzionamento è affidato a logiche completamente sovvertite, occorre considerare anche il sistema SIAE. Questo non solo impone il pagamento di tariffe onerose (scoraggiando spesso l’organizzazione di eventi musicali), ma si basa su una distorta ripartizione dei proventi derivanti dai diritti d’autore che vanno a vantaggio di compositori famosi (decretati come “ever green”) e a svantaggio di quelli meno famosi.
Le alte tariffe poi finiscono per incidere negativamente sui compensi destinati ai musicisti che indirettamente subiscono il sistema in termini di compensi inadeguati e mancanza di danaro per l’assolvimento degli obblighi fiscali e contributivi. Questo genera anche un grave problema di evasione fiscale creando un mercato sottopagato e allo stesso tempo sommerso.
2) Secondo lei, quali sono le ragioni per le quali in Italia, il settore della musica risulta così danneggiato?
In Italia sussiste, purtroppo, lasciatemi passare il termine, una certa “incultura” nei confronti della musica. Tendiamo a considerarla come un mero intrattenimento e non come un vero e proprio bene primario.
E ciò appare evidente se solo si consideri che in Italia non c’è una vera scolarizzazione sulla musica. Le ore dedicate a questa materia (nelle poche classi in cui viene insegnata) risultano scarsamente efficaci per garantire ai giovani l’adeguata formazione musicale di cui necessiterebbero. La cultura della musica cioè, nel nostro paese, si presuppone, viene data per scontata.
Uno degli effetti di quanto appena detto è che nel nostro Paese il musicista non è considerato come un vero professionista, ma come mero intrattenitore, non venendo considerata la sua attività alla stregua delle altre professioni, ma come subalterna.
Tuttavia, questo tipo di mentalità non gioca solo a sfavore di tutti coloro che investono nel settore o che scelgono di lavorare nel mondo della musica, ma dell’intera collettività che perde l’occasione di godere della cultura musicale.
3) Quali crede possano essere le soluzioni per risolvere i problemi sopra evidenziati?
Oltre al fatto che occorrerebbe investire di più a livello di formazione scolastica al fine di contribuire alla rinascita di quel sentimento nei confronti della cultura della musica che, come ho già detto ad oggi manca in Italia, credo che diverse altre soluzioni potrebbero essere messe in campo.
In primo luogo occorrerebbe operare una distinzione netta tra professionisti e amatori e ciò al fine di porre rimedio a quella insidiosa confusione in cui troppo spesso si cade tra chi “gioca” a fare il musicista e chi davvero lo fa di professione.
In secondo luogo, sarebbe opportuna una rivisitazione dei sistemi SIAE per favorire una ripartizione più equa dei proventi derivanti dal diritto d’autore.
Inoltre, occorrerebbe un sistema fiscale maggiormente coerente con quelle che sono le caratteristiche e le esigenze dei musicisti molto spesso impegnati su più fronti (dalle esibizioni live alle lezioni di musica private).
Infine, secondo la mia opinione, non si può negare che la responsabilità di un tale stato di fatto è in parte dei musicisti stessi.
Ad esempio in Francia esiste lo statuto di “Intermittent du spectacle”, voluto e ottenuto dal movimento degli intermittenti dello spettacolo. La professione del musicista nell’ordinamento francese deriva proprio dalle lotte che i musicisti hanno affrontato unendosi e lottando per la causa comune.
In Italia invece, i musicisti tendono a dividersi… Pertanto i governi che si sono succeduti non hanno mai veramente dovuto affrontare una massa critica.
Auspico, dunque, una certa riflessione comune da parte di chi vorrebbe continuare operare nel settore al fine di vedersi riconosciute alcune basilari forme di garanzia per iniziare a lavorare in “in maniera sana”.
Picture by Serena Capparelli