a cura di Azzurra Baggieri
Sulla scia degli approfondimenti che abbiamo pubblicato nelle scorse settimane al fine di indagare le difficoltà riscontrate nella gestione dei beni culturali ai tempi del Covid (è possibile consultare tutti i contributi accedendo alla sezione Osservatorio), volgiamo lo sguardo al mondo della musica dal vivo per analizzare quali siano stati gli effetti della pandemia su questo specifico settore culturale.
Sul punto abbiamo raccolto le preziose riflessioni del Direttore d’orchestra di fama internazionale Marco Guidarini.
Dopo il diploma in violoncello, conseguito presso il Conservatorio di Genova, sua città natale, Marco Guidarini ha proseguito la sua formazione col perfezionarsi nello studio della direzione d’orchestra presso la Hochschule für Musiknella città di Vienna.
Profondamente influenzato dalla vicinanza di Claudio Abbado, ha debuttato come direttore assistente di John Eliot Gardiner.
Da qui una carriera sul podio dei maggiori teatri del mondo: dal Metropolitan di New York al Teatro alla Scala di Milano, dal Teatro dell’Opera di Sidney al Bolshoi di Mosca.
Marco Guidarini ha anche ricevuto importanti riconoscimenti tra cui, Chevalier des Arts et des Lettres del Ministero della cultura francese e Cavaliere dell’Ordine della Stella della Repubblica italiana.
Non solo grande interprete, ma anche compositore: Marco Guidarini conta, infatti, nel suo repertorio oltre settanta titoli operistici e più di duecento lavori sinfonici, oltre a una vasta produzione discografica.
Di seguito le risposte che ha gentilmente rilasciato allo studio legale.
1) Quali sono state nel periodo del lockdown le maggiori difficoltà che il settore dello spettacolo dal vivo ha dovuto fronteggiare? Quali sono stati i rimedi adottati per rimediare alle problematiche emerse?
La grave emergenza sanitaria ci ha costretto al confinamento sociale. Di conseguenza la programmazione degli eventi musicali nei teatri italiani si è completamente fermata, come d’altronde è accaduto per i tanti e diversi settori del mondo dello spettacolo.
Ciò ha avuto notevoli effetti negativi sia per le strutture adibite ad ospitare gli eventi (vertiginoso il calo degli incassi, inevitabilmente azzerati nella primavera – estate 2020), sia per gli operatori dello spettacolo nel loro complesso considerati (molti dei quali freelance)sia per il pubblico, rimasto privo per mesi della magia che solo lo spettacolo dal vivo sa regalare.
Allo stesso tempo sono state lanciate diverse iniziative per continuare a offrire cultura. Mi riferisco alle tante dirette effettuate dai musicisti che si sono esibiti in solitaria o in sincronia (tecnologia permettendo) con altri, suonando a distanza grazie alle note piattaforme digitali che ci hanno fatto compagnia in questo periodo, tra tutte Zoom.
Mi sono sembrate idee simpatiche che hanno permesso di mantenere l’attenzione sul punto, ma a lungo andare si sono rivelate mero esercizio velleitario, dimostrando, ancora una volta, come il teatro di prosa, d’opera o lirico possa vivere solo di esibizioni dal vivo.
Questi spettacoli, infatti, non possono realizzarsi se non grazie alla presenza fisica dell’uditorio. La loro stessa riuscita è determinata da quel confronto alchemico che si viene a creare tra gli artisti sul palcoscenico e il pubblico in sala.
Cessato il lockdown, si è dovuto poi affrontare il problema relativo alla disposizione del pubblico nelle sale e a quella dei musici sul palcoscenico (le orchestre possono essere composte da pochi così come da molti elementi la cui ripartizione in archi, legni, ottoni e percussioni impone il rispetto di un ordine ben preciso), al fine di garantire il rispetto delle misure anti Covid.
Siamo ancora ben lontani dalla programmazione di stagioni concertistiche corpose, ma si registrano primi timidi tentativi per tornare a offrire spettacoli dal vivo.
2) Come accennava Lei poc’anzi, moltissimi operatori dello spettacolo si sono trovati in difficoltà non potendo esercitare da libero professionisti le attività di loro competenza. Esistono in Italia specifiche tipologie di sostentamento per questi professionisti del settore?
Esatto, tra le problematiche che la pandemia ha sollevato in Italia, vi è quella che affligge la gran parte degli operatori dello spettacolo. Mi riferisco a tutti coloro che, lavorando come libero professionisti e non percependo alcuna forma di aiuto economico da parte dello Stato, hanno affrontato, e affrontano tutt’oggi una grave crisi.
A differenza di altri paesi, come la Francia -ove grazie al quadro normativo già esistente e consolidato dei Congés Spectacles vengono stanziati da anni importanti aiuti economici per sostenere gli artisti privi di contratto a tempo indeterminato – in Italia si registra un grave vuoto normativo.
In Italia esiste unicamente il FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) che, tuttavia, è rivolto solo al finanziamento delle più importanti istituzioni italiane e specificatamente per gli artisti a tempo indeterminato.
Questo significa che i lavoratori di tutte le altre istituzioni indipendenti percepiscono il loro compenso grazie ai soli incassi del botteghino o ai finanziamenti dei privati.
Tuttavia, è bene precisare che la gran parte degli operatori dello spettacolo è costituita da questa seconda tipologia, ovvero dei lavoratori freelance, che esercitano la professione “a chiamata”.
L’emergenza sanitaria, dunque, non ha fatto altro che esasperare un problema già avvertito da anni in Italia portando al lastrico migliaia di professionisti.
Pensiamo a tutte le figure professionali che lavorano, in base alle rispettive competenze, in funzione del mondo dello spettacolo dal vivo: dagli aggiunti supplementari in un orchestra, agli attori, agli scenografi, ai ballerini, ai coreografi, ai truccatori fino ad arrivare ai tecnici del suono e della luce e a tutti gli artisti che vengono retribuiti attraverso partita IVA e che lavorano a progetto La maggior parte di questi non può giovarsi di alcun tipo di ammortizzatore sociale.
Ritengo che l’infelice emergenza sanitaria che stiamo vivendo possa rappresentare una grande occasione per risolvere un problema presente da anni in Italia e che forse solo adesso sta spiegando i suoi effetti più nefasti.
Tra le varie misure emergenziali adottate in Italia per fronteggiare la crisi sanitaria, economica e sociale, occorre ricordare che con il Decreto del 17.03.2020, così detto Cura Italia, è stato istituito il Fondo emergenze spettacolo, cinema e audiovisivo (art. 89) e sono stati stanziati 130 milioni di euro per l’anno 2020, intesi come contributi extra FUS. Questi contributi, tuttavia, vanno alle istituzioni, non agli artisti.
Tuttavia, sul punto è auspicabile un intervento sistematico da parte del legislatore italiano in grado di esplicare effetti duraturi nel tempo e non solo volti ad arginare le conseguenze della singola situazione emergenziale.
3) Da cosa è determinato secondo lei questo vuoto normativo? Perché in Italia, a differenza di altri paesi non esiste un quadro normativo volto a tutelare gli operatori dello spettacolo?
Perché nonostante il nostro Paese abbia dato i natali a grandi compositori e interpreti della musica (pensiamo a Puccini, Vivaldi, Rossini, Verdi!), ad oggi scarsa è la considerazione che riserviamo al mondo dello spettacolo che gode solo di un’immagine sostanzialmente “televisiva”.
Ma, esclusa una minoranza di persone note, la realtà è molto diversa.
C’è un mondo di grande competenze trascurato e abbandonato a sè stesso dal punto di vista delle tutele.
Eppure la categoria dei musicisti, e più in generale quella di tutti gli artisti, non può e non deve essere considerata come una categoria subalterna. A dispetto di quello che troppo spesso accade, il loro saper fare arte dovrebbe essere considerato come una vera professione e non come un hobby di lusso.
Inoltre in Italia tendiamo a concepire la cultura come un bene futile, quando in realtà rappresenta un bene di prima necessità al pari di altri fondamentali servizi offerti dallo Stato, come accade in Germania dove la tutela della cultura è stata inserita a livello costituzionale.
D’altronde che in Italia si investa poco nella cultura è cosa nota…!
A fronte di importanti stanziamenti finanziari che annualmente vengono predisposti da altri Stati europei per incentivare la cultura (passando anche ad esempio attraverso il sostentamento di chi lavora nel settore), in Italia dimostriamo, al contrario, scarsa attenzione a quella che dovrebbe rappresentare, considerata la ricchezza culturale nel nostro Paese, una priorità.
Inoltre occorre considerare che il sistema della privatizzazione degli enti lirici, introdotto dal d. lgs. 29 giugno 1996, n. 367, con il quale tali organismi sono diventati degli ibridi secondo un modello misto pubblico – privato (la riforma fu fatta proprio al fine di garantire a tali organismi introiti sia pubblici che privati), è sostanzialmente fallito lasciando che le fondazioni liriche continuassero ad essere sovvenzionate per la gran parte da risorse pubbliche.
Mi auguro quindi che il Ministero per i beni e le attività culturali possa aprire un tavolo composto da veri esperti in grado di cogliere le difficoltà del momento e di tramutarle in soluzione, perché, come già detto, gli strumenti ad oggi vigenti in Italia non sono all’altezza della gravità della situazione che viviamo.